Ucca presenta la rassegna itinerante ‘L’Italia che non si vede’

Di Roberto Roversi, presidente nazionale UCCA.

Fino a qualche anno fa la distribuzione su scala nazionale di film italiani da parte di Ucca poteva essere definita la ‘coda lunga’ dei film, mutuando la celebre definizione di Chris Anderson. Intendendosi, in sostanza, che le opere, anche le più fragili, le meno attrezzate per competere sul mercato, avevano comunque un’uscita in sala e Ucca si premurava, dopo qualche mese, di fare il lavoro di profondità, cioè di portare i film nelle aree meno servite dall’esercizio. Ma negli ultimi anni lo scenario è radicalmente cambiato. Abbiamo assistito alla forzata chiusura di centinaia di sale cinematografiche, dovuta sia al crollo dei consumi culturali che agli elevati costi dello switch-off digitale: uno scenario che paradossalmente rafforza il nostro ruolo associativo e ci grava per il futuro di qualche responsabilità in più, perchè,  ogni circolo del cinema, soprattutto se situato in una sala polivalente, in una scuola, in un’area dismessa e da riqualificare, è un potenziale spazio per la proiezione di contenuti audiovisivi. La presenza dei nostri cinecircoli disseminati nell’intero territorio nazionale, in provincia così come nei piccoli centri nei quali le sale hanno chiuso o quelle residue proiettano solo mainstream, è una risorsa che può e deve essere sfruttata proprio per ospitare quelle piccole produzioni che prima trovavano spazio altrove tra mille difficoltà, ma oggi non lo trovano affatto. Una responsabilità in più, si diceva, perchè il futuro di tanti piccoli film di giovani autori dipende sempre di più anche dal nostro lavoro. Un’altra considerazione: senza voler demonizzare l’attuale, imperante, e per certi versi irreversibile, consumo solipsistico di film e serie televisive via monitor, tablet e smartphone, imposto da una tecnologia sempre più pervasiva, credo sia opportuno ribadire con forza il nostro modello, fatto di condivisione e non di rado di incontri con autori, attori, produttori o distributori. Non tanto per concludere che preferiamo rimanere irrimediabilmente analogici, ma per riaffermare che, senza che intervenga un fattore umano, la visione e la comprensione di un film può rimanere monca o sterile.