Di Livio Pepino, presidente Controsservatorio Valsusa.
Scrivo di ritorno dai funerali di Luciano Gallino e mi torna alla mente il messaggio da lui inviato alla vigilia della sessione del Tribunale permanente dei popoli che si è conclusa l’8 novembre scorso, dedicata a Diritti fondamentali, TAV e grandi opere. Si legge in quel messaggio: «La realizzazione della TAV in Val di Susa che si vuol condurre a termine a costo di usare la forza, ad onta degli infiniti dati che comprovano la vecchiezza del progetto, la inutilità, i costi assurdi a fronte dei miliardi che ci vorrebbero per rimediare al dissesto idrogeologico, ecc. sono uno dei maggiori casi delle violazione dei diritti economici, sociali, civili, culturali che gli Stati membri dell’Unione ledono da decenni, calpestando una dozzina almeno di leggi fondamentali della stessa Unione europea. Attendiamo con ansia una inversione di tendenza della giurisprudenza e della legislazione comunitaria». La sessione del Tribunale permanente dei popoli (autorevole organismo internazionale di opinione, erede del Tribunale Russel) è stata un passo importante nella direzione auspicata da Gallino. Dopo tre giorni di lavori intensi in cui sono state ascoltate decine di testimonianze e consulenze (estese anche ad altri grandi opere europee) il Tribunale ha emesso un verdetto univoco: in questi anni – si legge nella sentenza – «si sono violati i diritti fondamentali degli abitanti e delle comunità locali. Da una parte, quelli di natura procedurale, come i diritti relativi alla piena informazione sugli obiettivi, le caratteristiche, le conseguenze del progetto della nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione (conosciuto come TAV), previsto inizialmente nell’Accordo bilaterale tra Francia e Italia del 29 gennaio 2001; di partecipare, direttamente e attraverso i suoi rappresentanti istituzionali, nei processi decisionali relativi alla convenienza ed eventualmente, al disegno e alla costruzione del TAV; di avere accesso a vie giudiziarie efficaci per esigere i diritti sopra menzionati. Dall’altra parte si sono violati diritti fondamentali civili e politici come la libertà di opinione, espressione, manifestazione e circolazione, come conseguenze delle strategie di criminalizzazione della protesta». E ciò non è stato occasionale ma espressione di un metodo autoritario di governo delle società che si sta sempre più affermando nel cuore dell’Europa, con logiche di carattere neocoloniale. Non è affermazione da poco. Ma c’è di più. Il Tribunale ha concluso – come è sua abitudine – con delle raccomandazioni rivolte ai governi e alle realtà interessate. Tre quelle fondamentali: riaprire un tavolo di confronto reale con le popolazioni (che abbia per oggetto tutte le ipotesi sul tappeto, anche quella della cosiddetta ‘opzione 0’, cioè dell’abbandono dell’opera in considerazione della sufficienza e idoneità della linea storica, oggi utilizzata solo al 20% delle sue potenzialità); sospendere, in attesa dell’esito del confronto, i lavori per il tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte; ripristinare l’agibilità del territorio, ponendo fine in particolare all’impiego dell’esercito in funzione di controllo. La sentenza, dato il carattere di opinione del Tribunale, non è suscettibile di esecuzione, ma rappresenta un punto fermo importante in vista del seguito della opposizione al TAV e per aprire gli occhi a una opinione pubblica bersagliata da informazioni interessatamente distorte. Se ci fossero dei dubbi, basterebbe a fugarli l’atteggiamento dei promotori dell’opera che (seppur invitati) non si sono presentati davanti al Tribunale e la reazione scomposta e sopra le righe alla sentenza anche di soggetti da cui ci si aspetterebbe, in considerazione del passato ruolo istituzionale, rigore e distacco.