Logiche geopolitiche nel Vicino Oriente e l’espansione dello stato islamico

A cura dell’Istituto Archivio Disarmo.

Logiche mediatiche portano a considerare il fenomeno dell’Isis come di natura principalmente religiosa. Certamente questo aspetto è preponderante soprattutto tra i miliziani arruolati negli ultimi tempi. Ma una lettura puramente confessionale della crisi sirio-irachena non basta, sono troppe le contraddizioni che ne risultano. Per comprendere le cause e la natura delle tensioni nel Vicino Oriente non si può prescindere da un’analisi storica e geopolitica della zona. Innanzi tutto bisogna considerare che gli attuali confini tra i Paesi furono decisi da francesi e inglesi, all’indomani della caduta dell’Impero Ottomano, in chiave di contenimento nei confronti della Turchia. La Siria si ritrovò ad avere al suo interno, dislocate soprattutto al nord, una molteplicità di popoli di varie etnie e confessioni: minoranze fino ad allora non tenute in considerazione dall’Impero e che ora potevano tenere sotto controllo i principali alleati dei Turchi all’interno della Siria, i turcofoni. Nel contempo si faceva strada l’antico sogno di una Grande Siria, al quale si cominciò a credere prima con l’alleanza tra Siria ed Egitto e in seguito con la salita al potere di Hafiz al-Assad (a cui successe nel 2000 il figlio Bashar). I rapporti di forza interni alla Siria, tra sostenitori e nemici del regime di Damasco, non sono dunque spiegabili con motivazioni di carattere confessionale. Per comprendere le motivazioni che stanno alla base della complessità di alleanza e strategie messe in campo dai vari attori hanno più efficacia le analisi svolte sulla base di ragionamenti storici e politici, e ciò non vale solo per la Siria, ma anche per l’Iraq. Per comprendere il contesto in cui ha potuto nascere e svilupparsi l’Isis bisogna prendere come punto di riferimento il 2003, anno in cui è scoppiata la guerra che ha portato alla destituzione di Saddam. La gestione della fase post-guerra da parte degli Usa ha fatto crescere il malessere sociale, creando così il terreno fertile per l’espansione dello Stato Islamico. Il governo presieduto da Al-Maliki, sciita, appoggiato soprattutto da Usa e Iran, ha preso una svolta autoritaria, basata sulle divisioni etnico-confessionali. Con l’andar del tempo è iniziato un percorso nel quale è emersa la volontà di al-Maliki di accentrare sempre maggior potere, fino ad essere accusato da varie parti di agire alla stregua di un dittatore. Anziché risolvere i problemi del paese, ha fatto ricorso alla violenza per sfruttare le risorse economiche e corrompere gruppi e personalità di rilievo. In questo modo, al-Maliki ha creato un terreno fertile nel quale sono cresciuti e si sono attivati i gruppi terroristici nella provincia di al-Anbar e nell’area di Mosul. Nel tempo i problemi che il governo centrale non ha voluto affrontare si sono aggravati. Tra questi la questione del petrolio, la possibilità di dare al governo curdo il diritto di esportare i suoi prodotti, i territori contesi e il rapporto con l’esercito del Kurdistan (i peshmerga). Sono queste le condizioni che ha trovato l’Isis quando ha attaccato la città di Mosul, caduta senza troppa resistenza Lo scontento creato dal governo ha quindi permesso all’Isis di acquisire un sempre maggiore appoggio dalla popolazione e di espandersi in un breve tempo. Inoltre lo Stato Islamico può far affidamento su cospicue risorse economiche, alimentate da vari canali: il petrolio, estratto dagli stabilimenti che si trovano dei territori conquistati; il finanziamento che giunge dai Paesi del Golfo (soprattutto Arabia Saudita e Qatar), ma anche dall’Asia sud-orientale; le raccolte fondi che avvengono tramite i social network. Inoltre l’Isis controlla risorse agricole e idriche. Le forze dello Stato Islamico presenti in Siria, tra l’altro, hanno potuto usufruire del finanziamento destinato da vari Paesi alle forze ribelli che combattono contro il regime siriano. Ciò ha permesso alle forze jihadiste di crearsi un notevole arsenale, in un’area geografica da sempre centro strategico del commercio mondiale di armi. Sono poche e frammentarie le notizie riguardanti le armi dell’Isis. Sembrano essere principalmente tre i canali attraverso i quali le forze jihadiste riescono a rifornirsi di armi e munizioni. Innanzi tutto l’Isis ha potuto contare sul finanziamento della coalizione che appoggia i ribelli in lotta contro il regime di Assad in Siria (ossia Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita e Qatar), che ha fornito ai terroristi armi, veicoli, equipaggiamento e addestramento specializzato. Non è più un segreto che questi Paesi svolgono azioni di sostegno ai ribelli siriani, purtroppo non riuscendo sempre a discriminare tra moderati ed estremisti. Ad esempio gli Stati Uniti forniscono sia addestramento specializzato, sia armi e munizioni e seppure dichiarino di armare solo i ribelli ‘moderati’, gli Stati Uniti non possono sottovalutare la possibilità che le armi possano cadere nelle mani delle forze filo-Isis e quindi essere trasferite in Iraq, dove verranno utilizzate contro il governo di Baghdad, che è alleato di Washington. Un secondo canale riguarda l’appropriazione degli arsenali lasciati incustoditi in seguito alla conquista di un obiettivo. È successo con la conquista di Mosul, dove l’Isis ha potuto mettere le mani su vari arsenali appartenenti all’esercito iracheno, dotati soprattutto di armi di nuova fabbricazione fornite dagli Usa. Tali appropriazioni hanno avuto luogo anche in Siria, dove i ribelli hanno potuto far affidamento sui depositi di armi e munizioni soprattutto di origine sovietica e cinese, dato l’appoggio che questi Paesi forniscono da tempo alla Siria. Un ultimo esempio è dato anche dall’arsenale dell’ex raiss libico Gheddafi. I suoi depositi sono diventati una preoccupazione da quando l’Isis ha ampliato la portata dei suoi obiettivi, fuoriuscendo dai territori siriano ed iracheno. Infine, sono stati troppi gli ‘errori’ commessi dall’aviazione, soprattutto statunitense, nel rifornire le forze che hanno aderito alla coalizione anti-Isis: casse di armi paracadutate nei territori controllati dall’Isis e che erano indirizzate invece ai gruppi che vi si contrappongono. Sono diverse le voci in tal senso e che riportiamo in quanto presenti nella stampa internazionale. Ma perché gli Stati Uniti avrebbero interesse a sostenere un’organizzazione terroristica come l’Isis? Le motivazioni, secondo alcuni analisti, sarebbero principalmente tre. La prima sarebbe data dai profitti derivanti dal commercio di armi, sia con i jihadisti sia con le forze che li combattono. La seconda riguarderebbe invece la strategia statunitense di balcanizzare la zona, alimentando forze come quelle jihadiste per rimuovere governi ostili, tipo quello di Assad in Siria, alleato di Iran e Russia. La terza, infine, sarebbe la volontà degli Stati Uniti di realizzare un disegno geopolitico venuto alla luce all’indomani dell’invasione dell’Iraq nel 2003, ossia il progetto della divisione del Paese in tre stati: uno curdo al nord, uno sunnita al centro ed uno sciita al sud, tutti sotto un grande, debole ombrello Iraq. Comunque, indipendentemente dalle accuse più o meno fondate, attualmente è disponibile una ricerca che offre informazioni più attendibili. I primi dati certi di cui possiamo disporre ci sono forniti da uno studio finanziato dall’Unione Europea e condotto dal Conflict Armament Research, un’organizzazione che si occupa del traffico di armi. La ricerca è stata condotta sui campioni di bossoli raccolti sui territori di guerra tra Siria e Iraq. Sono stati prodotti due report, uno riguardante le armi e uno le munizioni. Dalla ricerca risulta che la maggior parte delle cartucce sono di fabbricazione cinese, russa e statunitense, mentre il campione di munizioni recuperate in Iraq è soprattutto di fabbricazione statunitense. Il commercio legale e illegale di armi può quindi facilitare la formazione e l’espansione di gruppi terroristici, di cui l’Isis è solo l’esempio più eclatante. Ciò è possibile constatarlo anche in un altro luogo dove il traffico di armi è da sempre presente, ossia l’Africa, dove si sono formati nel tempo molteplici gruppi terroristici, come quello di origine nigeriana di Boko Haram.