Usare gli strumenti del dialogo e della conoscenza contro l’odio e il razzismo

Di Francesca Chiavacci presidente nazionale Arci.

Gli attentati di Parigi suscitano dolore, sgomento, indignazione, dimostrazioni di solidarietà, interrogativi. Queste emozioni rischiano addirittura di risultare ipocrite se si pensa che a scatenarle sia stato necessario un colpo al cuore dell’Europa e non quanto è accaduto, per esempio, poche ore prima di Parigi a Beirut, alcuni giorni addietro nello spazio aereo egiziano e da troppo tempo ai danni di civili innocenti vittime di attentati e bombardamenti. Ma soprattutto queste emozioni e domande partecipano alla storia di un grande fallimento. Il potere terroristico devastante (e attraente per molti, troppi) del Daesh, nella sua doppia dimensione sovrana in Medioriente ed extra territoriale nella ‘civile’ Europa, non è frutto del caso. Ha fallito la sciagurata politica ultrabellica nata dalla reazione all’attentato dell’11 settembre, che dopo quindici anni può vantare il merito di aver consentito la scarsa diffusione di democrazie e l’espansione del fondamentalismo religioso islamista. Ha fallito la strategia di lasciare al proprio destino la questione israelo-palestinese. Hanno fallito le ambiguità e complicità, tanto dell’Occidente e della Turchia quanto dei governi corrotti del Golfo col jihadismo, le cui conseguenze sono state pagate pesantemente dalle forze democratiche anti-Assad, continuano a essere pagate da milioni di curdi, e via via nel resto del Medioriente e in Africa. Hanno fallito, o si sono rivelate del tutto insufficienti, le politiche di inclusione e di promozione dei diritti nelle democrazie europee, se accade che i figli della nuova Francia e dell’Europa, in nome di un brutale totalitarismo teocratico, odiano e uccidono i loro fratelli francesi e partono per andare a combattere con lo Stato islamico. Il terrorismo che arriva nel cuore dell’Europa è il risultato di un conflitto in cui il nodo fondamentale delle guerre dentro l’Islam tra sunniti e sciiti è stato usato come uno strumento per mantenere equilibri e fare affari. Si è preferito lasciare che l’Is potesse contare su ingenti risorse finanziarie. E come bene ha scritto Etienne Balibar: «In questa guerra nomade, indefinita, polimorfa, asimmetrica, le popolazioni delle ‘due sponde’ del Mediterraneo diventano ostaggi». Non vogliamo rimanere ostaggi e dobbiamo lavorare perchè gli errori commessi non si ripetano. Per questo è il momento di riflettere, di dare una mano per una lucida analisi. Per farlo, è necessario ricordare, essere solidali, conoscere, mettere in luce pezzi di verità. E questo numero di Arcireport, dal carattere monografico, vuole, nel suo piccolo, partecipare a fare questo. Abbiamo chiesto a esponenti della società civile del Mediterraneo e del mondo, alle voci dissonanti in Italia, a chi negli anni ha studiato e approfondito le questioni del disarmo, a tanti nostri compagni di strada un contributo di analisi e di informazione che in questi giorni ci è sembrato di non ritrovare nei media, tranne rare eccezioni. Perché sapere come è stato possibile ritrovarsi a questo punto è la prima condizione per combattere i rischi di una pericolosissima tripla spirale. Quella che vedrebbe l’effetto incrociato della sospensione della chiusura delle frontiere e di modifiche alle libertà generato del razzismo, le equazioni rifugiato-jihadismo/musulmano=terrorista, quella di una decisa intensificazione dell’intervento militare in Iraq: non farebbe altro che sferrare altri colpi alle democrazie europee già piuttosto deboli per altri motivi, affondare qualsiasi prospettiva di pacificazione e sviluppo nelle società mediorientali, gettare benzina sul fuoco della propaganda Is. Sapere significa far conoscere che abbiamo bisogno di ripristinare l’effettività del diritto internazionale e dell’autorità delle Nazioni Unite. Sapere significa dare forza alle ragioni di ciò che questo terrorismo dall’ideologia terribile – che si fa scudo di una visione distorta di un credo religioso – scuote alle fondamenta la cultura delle democrazie europee: la laicità che, nel momento in cui viene sfidata, non può e non deve smarrirsi ma mostrarsi uno dei fondamenti della libertà e dell’uguaglianza. Riuscire a far capire che la risposta militare non è né giusta nè efficace (e quello che è accaduto in questi anni lo sta a dimostrare), che gli strumenti del dialogo e della conoscenza sono fondamentali, far crescere il pensiero, diffondere cultura contro l’odio e il razzismo, rappresenta il compito principale dell’Arci, la più grande associazione culturale laica e di sinistra esistente in Italia. Troveremo nei prossimi mesi gli strumenti giusti per agire tutto questo in maniera capillare, nei territori, tra i cittadini e al tempo stesso per far sentire la nostra voce di soggetto politicoculturale che , insieme ad altri, continua e continuerà a manifestare le proprie idee su tutto questo. Dovremo far capire le ragioni della pace, della democrazia, dell’inclusione e useremo tutte le nostre energie, coinvolgendo le basi associative e socie e soci, mettendo a disposizione i nostri spazi, organizzando momenti pubblici per la disseminazione di informazioni, nella consapevolezza che non sarà facile, che il 13 novembre è avvenuta una vera e propria ‘cesura’ culturale che appare in questi giorni sempre più pericolosa e negativa. Questa volta, più di altre volte, abbiamo bisogno di sapere e raccontare cosa, e come, è successo davvero.