Cultura: le proposte di Renzi segneranno una vera inversione di tendenza?

Di Federico Amico, coordinatore nazionale Arci Diritti e buone pratiche culturali.

Mentre ci trovavamo a Forlì per l’ottava edizione di Str@ti della Cultura, l’appuntamento annuale dell’Arci che vuole fare il punto e far emergere proposte per le politiche culturali della nostra associazione, abbiamo letto non senza sorpresa le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi: «per ogni euro in più investito sulla sicurezza ci deve essere un euro in più investito sulla cultura». Non senza sorpresa, perché quelle parole sintetizzano quanto da tanti anni come Arci andiamo dicendo per il nostro Paese e, invece di ricorrere alla parola guerra (che come dice Marino Sinibaldi è «la parola alla quale si ricorre per automatismo, per povertà lessicale, per mancanza di fantasia») evocata da molti successivamente ai fatti di Parigi del 14 novembre, il concetto di Renzi sembra introdurre un cambio di paradigma più volte auspicato. Ma se il concetto in termini generali ci rincuora e ci fa intravedere uno scenario molto simile a quello che nei vari anni si è prospettato anche con le proposte di Sbilanciamoci, che pochi giorni dopo sono state presentate alla Camera, è necessario scandagliare e sorvegliare come questa inversione di tendenza troverà la sua applicazione. Perché se pure di risorse ingenti si tratta, innanzitutto non saranno risorse del tutto sufficienti a far crescere strutturalmente l’intervento sulla promozione della cultura nel nostro Paese. È vero, è meglio riscontrare un segno più, anziché un segno meno, ma lo stato di difficoltà in cui versa l’intero settore avrebbe bisogno di interventi più consistenti. Inoltre, se il tema è declinato rispetto al rafforzamento della nostra identità di italiani, come pare dalle parole del premier, si trascura un elemento fondamentale come quello della curiosità e dell’apertura, elemento sostanziale che invece di arroccarsi sulle presunte posizioni di ‘specificità’ italiana, può determinare un’attitudine alla comprensione dell’altro e favorire il dialogo e quindi contrastare oggettivamente l’isolamento e la dogmaticità che sono la coltura delle radicalizzazioni religiose. Di fronte a quanto è accaduto a Parigi, ma non solo, è chiaro che sia necessario agire, ma soprattutto è necessario farlo bene, perché la dichiarazione e gli interventi previsti non abbiano il sapore dello spot. Se il ‘rammendo delle periferie’, la dotazione ai diciottenni di un quantum da investire in arricchimento culturale, l’aumento del fondo per le borse di studio universitarie, l’introduzione della facoltà per i cittadini di donare il due per mille ad associazioni culturali, sono risoluzioni in sé interessanti, bisogna che per essere davvero efficaci siano condotte con trasparenza e fattività. Per esempio perché sul ‘rammendo delle periferie’, che Renzo Piano ha proposto e studiato, darsi dei tempi ultra celeri prevedendo che i progetti debbano essere presentati entro la fine dell’anno, ovvero in poco più di trenta giorni? La fretta non è buona consigliera e il rischio è che si ripieghi su interventi già previsti, mancando quindi l’obbiettivo propulsore. Per le donazioni del due per mille, bisognerebbe evitare di replicare ciò a cui abbiamo assistito sul 5 per mille alle istituzioni culturali, per cui su un totale di quasi 2,3 milioni a disposizione, il 54% viene assegnato a soli tre enti, tramite una decisione unilaterale del Ministero, senza che i contribuenti possano indirizzare la propria decisione. Non sarebbe meglio un’estensione dell’Art Bonus per le donazioni liberali anche a soggetti del terzo settore impegnati nella cultura? Lavorare per rendere effettivo il recupero dei beni demaniali in disuso finalizzato all’insediamento di attività culturali? Introdurre una defiscalizzazione dei costi per coloro che si impegnano per studiare uno strumento musicale o fare teatro? Insomma, le cose da fare sono tante per un ambito che troppo a lungo è stato trascurato e poco promosso. Seppure l’orientamento parrebbe meno ‘securitario’, non è vero che la qualità, soprattutto in ambito culturale, dei dispositivi che saranno messi in atto sia questione trascurabile. L’Arci può essere un fattore correttivo ai possibili errori in questo ambito perché coniuga, come pochi altri in Italia, cultura e partecipazione, qualità e verità, trasparenza e fattività. L’auspicio è che il paradigma muti sostanzialmente e che a queste dichiarazioni segua una vera e consistente inversione di tendenza. Noi saremo lì a monitorare, proporre e fare, come nostro solito.