L’anno che ci attende

Di Francesca Chiavacci presidente nazionale Arci.

Chiudiamo questo anno difficile e straordinario, segnato da stragi terroristiche e da una serie troppo lunga di naufragi nel mediterraneo, leggendo la notizia del progetto del governo ungherese di Orban che intende realizzare un’opera commemorativa di una delle personalità che in quel paese sono state più coinvolte nello sterminio nazista: Bálint Hóman, promotore delle leggi antisemite in Ungheria e sostenitore del colpo di Stato nazista avvenuto nel 1944. Il Congresso mondiale ebraico ha protestato contro questa decisione, e anche l’amministrazione degli Stati Uniti ha espresso grande sconcerto. In questi giorni sono state promosse iniziative di protesta, a cominciare da manifestazioni intorno alla piazza dove dovrebbe essere collocata la statua. È un fatto gravissimo, che rappresenta il simbolo della crisi delle radici democratiche del progetto unitario europeo e che avviene nell’indifferenza, se non silenzio assordante, delle sinistre del continente. Ancora una volta si conferma ciò che abbiamo spesso ripetuto: il vuoto che la debolezza del pensiero progressista lascia in Europa (ad eccezione di casi limitati) spesso percepito come parte del sistema o comunque non in grado di rappresentare e interpretare nuovi bisogni e timori, viene riempito sempre di più da destre e populismi, dai loro messaggi di rifiuto e di repulsione verso l’altro, a cominciare dalle centinaia di migliaia di persone che lasciano la propria terra alla ricerca di pace e di una vita dignitosa. Sono destre e populismi ancor più pericolosi di un tempo, perché riescono ad ammantarsi di ‘trasversalismo’ cavalcando il superamento della contrapposizione classica tra destra e sinistra. E nella paura del terrorismo e negli interrogativi che pone un fenomeno migratorio epocale ha buon gioco chi erige muri, limita le libertà, individua nei rifugiati che scappano dalla guerra il nemico e la causa di tutti i mali. Sono tendenze che purtroppo rischiano di riguardare anche il nostro Paese, che spesso vuole liberarsi di visioni e pratiche solidali e affronta i problemi facendosi risucchiare da qualunquismi e scorciatoie. Per chi come noi, l’Arci, rappresenta un grande e inedito laboratorio, non solo una grande associazione, in cui confluiscono idee, esperienze, soggettività differenti, singoli e strutture organizzate, c’è tanto lavoro da fare e tante sfide da raccogliere. Il 18 dicembre abbiamo dichiarato lo ‘stato di solidarietà’, non quello di emergenza. Abbiamo lavorato contro ogni fondamentalismo, anche nel nostro Paese. Svolgiamo quotidianamente il nostro ruolo di presidio del territorio, contro solitudini e precarietà. Siamo un motore sociale che alimenta e deve continuare ad alimentare una visione nuova, credibile, solidale delle relazioni sociali e culturali. E vorremmo che questo ci fosse maggiormente riconosciuto, anche dalla politica della sinistra. L’anno che ci aspetta indubbiamente rappresenterà un anno importante per la nostra associazione, per il monitoraggio e la verifica dell’azione del nostro rinnovamento, lo stato di salute dei nostri territori, l’efficientamento della direzione nazionale. Ma anche per l’elaborazione della nostra proposta politica: anche a noi deve interessare la grande questione di quali risposte concrete e convincenti dare, da sinistra, alle ansie profonde e alle paure della nostra società. Deve interessare per noi stessi, per l’Arci, per lo sviluppo della nostra visione di associazionismo.