‘L’era del cambiamento’ Legambiente a Congresso

Il decimo congresso di Legambiente ha eletto la sua prima presidente nazionale donna, Rossella Muroni di cui pubblichiamo una breve intervista. A Rossella i migliori auguri di buon lavoro da tutta l’Arci.

Quando inizia e come si articola la tua esperienza in Legambiente? Sono arrivata a Legambiente nel 1996, come volontaria nel settore comunicazione e ufficio stampa, dopo due in CGIL come responsabile nazionale del Centro Solidarietà del Sindacato studentesco, dove mi occupavo dello sportello informativo e di assistenza legale per gli studenti delle scuole medie superiori e delle università. Dopo un breve periodo all’ufficio stampa nazionale, sono passata ad occuparmi delle campagne itineranti – da Goletta Verde al Treno Verde, da Spiagge e Fondali Puliti alla rete internazionale dei campi di volontariato ambientale – prima come responsabile comunicazione, poi come portavoce. Sono entrata nel Direttivo nazionale dell’associazione nel 1999 e nella Segreteria nel 2003, mentre dal 2007 a quest’anno ho ricoperto il ruolo di Direttrice generale. In questi anni ho contribuito a numerose pubblicazioni associative, dal Rapporto Ambiente Italia al dossier Ecomafia, dalla Guida Blu al Rapporto Ecosistema Urbano e ho curato articoli e opuscoli informativi su diverse tematiche ambientali. Scrivere per me è una piacevole abitudine che porto avanti tutt’ora curando una rubrica fissa sul mensile La Nuova Ecologia. Come può evolvere il ruolo dell’ambientalismo in Italia? Il movimento ambientalista, oggi, ha in mano una grande possibilità: quella di promuovere una vera rivoluzione pacifica. C’è, infatti, una società green pronta a contribuire realmente al cambiamento con la forza delle idee. L’ambientalismo può e deve arrivare nelle piazze, perché non è più un tema elitario. Il titolo che abbiamo scelto per il nostro decimo congresso, L’era del cambiamento, non è stato scelto a caso: siamo convinti che ci siano già le risorse, i talenti, le potenzialità e le passioni per cambiare questo Paese e renderlo più sostenibile, anche grazie a ricette economiche innovative in grado di creare nuova occupazione qualificata e duratura.L’ambientalismo deve saper valorizzare quei territori che già sono centri propulsori di cambiamento e di modernità, sostenendo le buone pratiche in atto, come l’autoproduzione energetica, l’economia circolare e la rigenerazione urbana come alternativa al consumo di suolo, per esempio. Occorre anche allargare lo sguardo al Mediterraneo, perché è lì che si gioca una buona parte delle sfide del mondo in cui viviamo, a cominciare dai cambiamenti climatici, la questione dei migranti, della solidarietà e della pace. Quali sono gli obiettivi principali che porrai al centro della tua presidenza? L’obiettivo di Legambiente per i prossimi anni è, innanzitutto, di essere un’associazione aperta e accogliente, in grado di parlare con tutti e capace di costruire lobbies trasversali, nella società civile come in parlamento, per raggiungere obiettivi concreti di interesse comune, come avvenuto per la battaglia per l’approvazione della legge sugli ecoreati. L’impegno sul clima continuerà a essere al centro del nostro lavoro, perché è un tema essenziale che ne contiene tanti altri, a cominciare dalla riconversione energetica e dall’abbandono del petrolio. Poi, c’è lo stop al consumo di suolo, sul quale prosegue il nostro lavoro, anche perché la legge è ferma in Parlamento. Nuova edilizia per noi significa rigenerare senza cementificare, mettere in sicurezza, avere cura del territorio. Ed è anche per responsabilizzare tutti rispetto al tema del territorio che a quest’ultimo congresso abbiamo lanciato la campagna per il voto amministrativo agli stranieri residenti da almeno 5 anni. Il tuo giudizio sull’accordo raggiunto alla COP21? Il testo approvato a Parigi pone le fondamenta per affrontare sul serio la crisi climatica, i cui impatti sono già in atto e si fanno sentire in particolare sulle comunità vulnerabili dei paesi poveri. L’accordo si pone come obiettivo di lungo termine di contenere il surriscaldamento del pianeta ben al di sotto dei 2 gradi e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per non superare 1.5 gradi. Un obiettivo necessario, ma per niente scontato, perché significa andare in modo irreversibile verso un futuro libero da fossili. Il problema, però, è che gli impegni già annunciati dai governi sono sufficienti a ridurre solo di un grado circa il trend attuale di crescita delle emissioni di gas serra, con una traiettoria di aumento della temperatura globale di 2.7- 3°C. L’obiettivo è quello giusto ma mancano gli strumenti, insomma. Non possiamo permetterci di perdere tempo. È fondamentale una revisione dei piani di impegni nazionali non oltre il 2020 e purtroppo l’accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica globale. È invece urgente farlo prima del gennaio 2021, quando il nuovo accordo sarà operativo. In questo senso, Parigi è un punto di partenza. L’accordo è frutto anche della grande mobilitazione della società civile globale, ma non possiamo certo fermarci qui. Continua la mobilitazione per far sì che l’Europa e l’Italia traducano in azione politica gli impegni presi alla COP21.