David Bowie, l’icona pop che cadde sulla terra

Di Federico Amico coordinatore nazionale Arci Diritti e buone pratiche culturali.

Meglio scrivere oggi di Bowie, senza esserne un fan. È infatti raro assistere a un così intenso dolore collettivo per aver perso qualcuno che conoscevamo così bene, e nello stesso tempo per nulla. Nel corso di sei decenni, Bowie è diventato un eroe universale; uno scolaretto che è diventato un’icona pop-Zeitgeist, un’impostazione culturale; una scintilla degli occhi liberata sessualmente; una presenza culturale che ha plasmato tutti noi in qualche modo. Quando un’icona apprezzata come Bowie muore inaspettatamente, fiumi di bit vengono impiegati per commemorarlo. A farla da padrone sono ovviamente i ricordi legati alla sua musica, alle sue apparizioni, dal vivo e in televisione, alle copertine dei dischi. Ma è bene anche ricordare che oltre ad essere uno straordinario musicista e autore, la sua azione non si è limitata a questo. Come tutti gli artisti che hanno rappresentato un fenomeno di massa, non è maturato in solitudine, non ha semplicemente creato chiudendosi in una torre eburnea. Nella sua interpretazione del pop e della musica ha detto «Io non sono una rockstar, io non sono nel rock’n’roll. Per me il rock’n’roll non è che un media, un canale di espressione» e in quanto tale si è disseminata di richiami, rimandi, collaborazioni. David Bowie ci ha fatto vedere cosa poteva essere la musica rock, un linguaggio popolare che va da tutte le parti, che può diventare letteratura, cinema, teatro, moda, danza, fumetto, multimedialità, e tanto altro, a patto che l’occhio e l’orecchio cerchino un’affermazione estetica e l’azzardo. È stato senza dubbio al centro di un maelstrom culturale, capace di catalizzare diversi mezzi espressivi, attivare miriadi di collaborazioni e interventi creando e nello stesso tempo mettendosi al servizio della vita culturale umana. Da Lou Reed a Iggy Pop, da Brian Eno a Bryan Ferry, da William S. Burroughs a Andy Warhol, sono solo alcune delle figure della cultura contemporanea che hanno stretto sodalizi creativi con lui, lasciando impronte indelebili nel nostro immaginario attraverso un sentire che fosse anche solo tre millimetri più avanti di quanto nel quotidiano si andava vivendo. Per questo possiamo dire che Bowie è stato un media di massa, nel senso che Walter Benjamin dà ai media di massa, ovvero un apparatur, cioè una serie di tecnologie «che organizzano la percezione umana», di medium attraverso i quali passa, filtra, si riflette la nostra esperienza del mondo. Poi c’è tutto quello che comporta oggi nel 2015 l’assistere alla scomparsa di una figura del genere e il subdolo tentativo di trasformarlo in santo, alla ricerca di una presunta costruzione del consenso. Droga, sesso e rock’n’roll sono state rappresentazioni di Bowie e la spasmodica corsa al coccodrillo più efficace (anche questo testo potrebbe essere catalogato in tale categoria) fa sì che perfino le emittenti televisive (cfr. Rete 4) quanto più lontane dalla triade di cui sopra hanno fatto campeggiare un «grazie David» per una giornata intera sui nostri schermi.