Una tragedia umanitaria che bisogna fermare

Di Filippo Miraglia Vicepresidente nazionale Arci.

L’Unione Europea è sempre più lontana dai principi di democrazia, solidarietà e giustizia. Il cinismo e l’egoismo sembrano caratterizzare le azioni promosse dai governi e dalle istituzioni europee. Alla tragedia che si sta compiendo sotto i nostri occhi, i governi rispondono con nuove misure di chiusura e mettendo in campo un apparato internazionale di guerra sempre più ampio. Alla frontiera tra Turchia e Siria decine di migliaia di persone si affollano in cerca di salvezza dalle bombe russe e dall’accerchiamento del dittatore Bashar Al Assad. L’Europa, Angela Merkel in testa, chiede a Erdogan di fermarle e di farsi carico di quelle che riescono a passare. La Turchia ospita già 2,5 milioni di profughi, dovrebbe prenderne altri e fare da cane da guardia dell’UE in cambio dei tre miliardi d’euro promessi. Nessun cenno alla questione Kurda in questa trattativa, ai diritti umani calpestati in Turchia, tanto meno alla responsabilità di dare una risposta alle persone, e sono la quasi totalità, in fuga da morte certa. Intanto la Turchia usa l’esercito per bloccare i profughi e respingerli verso le zone di guerra. Nel mar Egeo ogni giorno muoiono decine di persone. Più di 400 dall’inizio dell’anno. L’UE chiede alla Grecia di respingerne di più e di accoglierne di più. Anzi minaccia il governo Greco di estromissione dallo spazio di libera circolazione se non riesce a fermare i flussi di profughi verso il nord Europa. Il secondo ricatto che il governo greco deve subire, dopo quello recente, e non ancora concluso, delle politiche di austerità. Ai greci l’UE chiede di pattugliare le acque dell’Egeo facendo quello che i razzisti di casa nostra propongono da anni: buttare in mare le persone per dissuaderle. Allo stesso tempo, decide di entrare in campo la NATO, tra gli applausi del governo italiano, per dare man forte a quella che è oramai una guerra contro i profughi. All’Italia, come alla Grecia, viene chiesto di accelerare l’apertura degli hot spot, sempre con l’obiettivo di impedire ai profughi sopravvissuti di arrivare nelle nostre città. Riassumendo, questa è la strategia: provare a fermarli lontani dai nostri confini, con ogni mezzo, soprattutto con l’esercito. Se riescono comunque a passare, provare a fermarli ai confini dell’UE. Respingerli indietro con strumenti di guerra: le navi e i mezzi della NATO. Quelli rimasti, decimarli con il sistema degli hot spot e provare a rimandarli in uno dei paesi cosiddetti ‘sicuri’, inseriti in una lista che i governi europei stanno cercando di rendere operativa (tra questi brilla la Turchia, ma anche molte dittature africane e molte zone di guerra, come l’Afganistan). Della vita di queste persone in cerca di protezione l’UE non sembra voler discutere. Eppure i 400 morti del 2016, 10 al giorno, vanno attribuiti alla diretta responsabilità dei governi europei, che continuano a pianificare azioni volte solo a impedire ai profughi di mettersi in salvo. L’Europa della solidarietà e dei diritti deve scendere in piazza. Di fronte a questo scempio non possiamo più stare a guardare.