Elezioni in Iran: in parlamento la maggioranza va ai moderati

Di Gianluca Mengozzi presidente Arci Toscana

Le elezioni in Iran si stanno tenendo in un momento storico particolarmente complesso per il Vicino Oriente, contraddistinto dal sempre più esasperato conflitto tra l’Arabia Saudita e l’asse sciita che unisce Teheran, Damasco, gli sciiti libanesi e quelli yemeniti. Un conflitto armato su più fronti in cui si muovono le alleanze e le superpotenze, Stati Uniti e Turchia da un lato e Russia dall’altro, e che coinvolge i paesi del Golfo arrivando fino alla Libia. Ma l’Arabia Saudita sta usando anche armi non convenzionali e mette in crisi le economie dell’Iran e dei suoi alleati tenendo da mesi bassissimo il prezzo del petrolio. In questo clima, con l’alleato siriano in gravissima difficoltà, le elezioni in Iran aiutano a capire cosa sta succedendo nel paese dopo il recente riavvicinamento all’occidente. Ma ci si deve sforzare di leggere i fatti in un’ottica nuova, superando la visione di un governo conteso da due blocchi di cui uno progressista e liberista e l’altro oscurantista. In realtà la situazione è più complessa, ed è soprattutto un errore continuare a immaginare le forze afferenti alla Lista della Speranza come antirivoluzionarie e desiderose di spostare l’Iran verso un modello sociale occidentale, e il fronte avverso come un monolite gerontocratico, antidemocratico e antioccidentale, teso alla sola conservazione dei principi islamici. Nella coalizione riformista che ha vinto a Teheran e che ha permesso a Rouhani e Rafsanjani di entrare nell’Assemblea degli Esperti c’erano numerose liste legate a esponenti conservatori, e forse è stata proprio questa ibridazione a favorirne il successo. Dovendo attendere comunque il secondo turno elettorale per avere il quadro definitivo, si può dire fin d’ora che cambia la composizione del parlamento, in cui la maggioranza andrà alle forze moderate che hanno vinto nelle periferie e nelle campagne, e il 30% circa alle forze riformatrici, più vicine alla borghesia urbana dei grandi centri. Nel voto prevale dunque una distribuzione geografica e di classe e non sembra possibile delineare un preciso orientamento per fasce di età o per sesso, come invece piace immaginare ai commentatori occidentali che descrivono Rouhani leader dei giovani e delle donne, pensando che quel che succede per le élite culturali ed economiche di Teheran vale per l’intero paese. Il voto è stato poi condizionato dall’esclusione della gran parte dei candidati riformatori e moderati progressisti operata dal Consiglio dei Guardiani, un organo in cui prevale un orientamento conservatore, che ha voluto così mitigare il previsto successo progressista. Le critiche all’operato del Consiglio dei Guardiani sono state forti e autorevoli, segno di una dialettica politica vera e partecipata, come dimostra anche l’alta affluenza alle urne. La malattia di Khamenei lascia pensare a sue imminenti dimissioni e per la successione circola la possibilità di una candidatura di Rafsanjani, difficilmente immaginabile prima delle elezioni. Certo, non sarà imminente la soluzione del grave deficit di diritti civili, ma la situazione induce a sperare nel consolidamento di un processo evolutivo positivo in cui anche la società civile organizzata possa giocare un ruolo maggiore.