La notizia di questi giorni è la ripresa di consistenti sbarchi nei nostri porti provenienti dal Mediterraneo e la contestuale ripresa delle polemiche politiche e/o delle non scelte da parte dell’Europa sull’apertura di canali umanitari. L’unica soluzione credibile in questa fase per evitare altre morti in mare. Una soluzione che appare distante dalle volontà dei paesi membri e dell’Europa stessa che, al contrario, anche in occasione dell’incontro con il Governo di Accordo nazionale libico di qualche giorno fa, si è preoccupata che venisse «controllato e ridotto efficacemente il fenomeno». Come e quale sia il ‘fenomeno’ è da capire, ma appare chiaro oramai a tutti come questo approccio non sia risultato efficace. Ma l’estate è stata segnata da altre iniziative e proposte che meritano la nostra attenzione e la nostra vigilanza. Mi riferisco alla proposta di Milena Gabanelli, la conduttrice di Report, che ha proposto l’utilizzo delle caserme dismesse in giro per il Paese per l’accoglienza dei richiedenti asilo. Ora, al netto del fatto che tutti gli indicatori ministeriali ed internazionali descrivono – con zelante perseveranza – un paese non affogato dall’emergenza accoglienza, trovo emblematico (e pericoloso) che attraverso il tema accoglienza e immigrazione questo Paese riesca ad inventarsi soluzioni improbabili e del tutto fuorvianti. Il punto di partenza, sia chiaro, può anche essere comprensibile: abbiamo, da una parte, una quantità di patrimonio non utilizzato che andrebbe valorizzato e liberato in favore delle comunità territoriali e dall’altra vi è la necessità di adottare un sistema d’accoglienza degno di questo termine, capace di produrre effettiva integrazione. È la soluzione che non solo lascia perplessi ma appare davvero peggiorativa (in prospettiva) dell’attuale modello imperniato al 70% sul sistema prefettizio. Non è infatti con la concentrazione di 200/300/500 persone dentro una caserma ristrutturata che si risolve il tema dell’effettiva integrazione, abbattendo le tensioni territoriali. Una proposta dunque che rischia di diventare utile solo sul versante della ristrutturazione delle caserme e di produrre effetti disastrosi sul versante dell’accoglienza. Noi siamo infatti sostenitori (da anni) del modello dell’accoglienza diffusa, del sistema Sprar che, tra l’altro, vede nel nuovo decreto di riforma di tale sistema un’effettiva possibilità di sviluppo. Un decreto che (finalmente) prova ad individuare strumenti concreti di facilitazione per i Comuni e che indica quel modello come riferimento per affrontare adeguatamente un sistema che ad oggi accoglie – ricordiamolo – 140mila persone. Un decreto che, sul piano dell’approccio, rafforza la volontarietà dei Comuni, rendendola conveniente e di facile accessibilità. Un passo di non poco conto se pensiamo al fatto che, ancora oggi, molti amministratori locali non sanno cosa sia il sistema Sprar. Ci aspetta dunque una stagione molto intensa e di rinnovato impegno. Sono convinto che anche il lavoro che abbiamo impostato sulle nostre linee guida nazionali possa in questa fase rivelarsi utile.
di Walter Massa coordinatore nazionale Arci Diritti migranti e richiedenti asilo