Il 12 e 13 giugno 2011 la maggioranza assoluta dei cittadini italiani ha detto che la gestione del servizio idrico deve essere pubblica e che su di esso non si possono fare profitti.
Il pronunciamento, dal punto di vista politico, è stato molto chiaro e altrettanto chiaro era già stato il pronunciamento della Corte Costituzionale, con le sentenze di ammissibilità dei 2 referendum, sulle conseguenze giuridiche della vittoria dei 2 referendum. La Corte Costituzionale ha affermato che, con l’abrogazione del decreto Ronchi, per l’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica, compreso quello idrico, vale la normativa comunitaria, che prevede una pluralità di forme di gestione, riaprendo la strada anche all’intervento di soggetti di diritto pubblico, come le Aziende speciali. Inoltre, sempre la Corte ha affermato che, con la vittoria referendaria del quesito che abolisce la remunerazione del capitale investito, tale dispositivo diventava immediatamente applicabile.
Subito dopo la vittoria referendaria i guastatori si sono messi all’opera. Ha iniziato il governo Berlusconi con la manovra dell’estate scorsa, in cui si stabiliva che per il trasporto pubblico locale e la gestione dei rifiuti, servizi anch’essi interessati dall’esito referendario, torna ad applicarsi, nella sostanza, il decreto Ronchi abrogato. Hanno proseguito le Autorità d’Ambito del servizio idrico e i soggetti gestori, che si son ben guardati dal dare applicazione al secondo quesito referendario. Adesso il completamento dell’opera viene affidato al governo Monti. Con l’annunciato decreto legge del prossimo 20 gennaio si intende intervenire esattamente in questa direzione, sotto l’ombrello ideologico delle grandi virtù delle liberalizzazioni.
Nonostante le dichiarazioni rassicuranti di esponenti del governo, l’intenzione è proprio quella di mettere in discussione l’esito referendario, la discussione verte semmai sul come.
C’è una prima ricetta suggerita dall’Antitrust che, nella sostanza, propone di estendere le norme del decreto Ronchi abrogato, applicate l’estate scorsa al trasporto pubblico locale e al ciclo dei rifiuti, anche al servizio idrico. Gira poi un’altra idea, apparentemente più soft, che è quella di precisare le possibili forme di gestione del servizio idrico, non limitando l’intervento delle Spa a totale capitale pubblico, ma escludendo i soggetti di diritto pubblico, come le Aziende speciali. È un’ipotesi che potremmo definire ‘anti Comune di Napoli’, che recentemente ha trasformato la propria Spa in Azienda speciale, ma che ha anche lo scopo di scoraggiare altri enti locali che volessero fare la stessa scelta. In questi mesi però non siamo stati con le mani in mano. Con la manifestazione del 26 novembre abbiamo ribadito che la volontà popolare va rispettata. Ci siamo preparati per lanciare la campagna di ‘obbedienza civile’ per il ricalcolo delle tariffe, che sta partendo ora nei territori, e ripubblicizzare realmente il servizio idrico in tutto il Paese.
Ora dobbiamo impedire che il governo Monti chiuda il cerchio. Abbiamo promosso un appello che invitiamo tutti a firmare, perché siamo di fronte a una grande questione democratica, che non riguarda solo i promotori dei referendum. È necessario reagire, protestare contro l’ennesimo schiaffo a un sistema