N°10 ‘Jugoschegge-Storie e scatti di guerra e di pace’

Intervista al fotografo Mario Boccia, autore della prefazione al libro

A distanza di 20 anni, quale è l’eredità del conflitto in ex Jugoslavia? La vera domanda è perché in Bosnia Erzegovina non si riesce ad uscire da un dopoguerra infinito.
Gli accordi di Dayton furono costruiti per garantire a tutte le componenti ‘etniche’ una propria rappresentanza nel governo.
Ma per unificare davvero il paese si sarebbe dovuto trasferire il dibattito politico dal confronto ‘etnico’ a quello tra normali programmi politici. Invece è rimasto in piedi un sistema complesso che divide un paese piccolo in due entità separate e governate da elites praticamente monoetniche, nonostante la popolazione sia ancora largamente ‘mista’.
Faccio un esempio: il sistema scolastico, invece di essere unificato, prevede classi, testi e programmi separati per gli alunni di ‘etnie’ diverse. Può tornare unito un paese che divide i suoi ragazzi già dalle elementari?
L’unica unificazione realizzata è quella delle targhe delle auto, il che peraltro rende impossibile capire qual è la città di immatricolazione del veicolo. Mi viene in mente un aneddoto: un amico ebreo di Mostar alla fine della guerra aveva tre targhe (allora c’erano anche le targhe croato-bosniache) e le cambiava a seconda di dove doveva andare.
Si vuole veramente unificare la Bosnia e provare a entrare in Europa, almeno come paese candidato? Oppure l’opzione di dividere il paese tra Serbia e Croazia, magari lasciando una mini entità ‘turistico-musulmana’ attorno a Sarajevo è ancora un sogno nel cassetto per qualcuno?

A seguire i giornali e i discorsi dei politici (con toni che diventano sempre più accesi se devono coprire la crisi economica), la guerra potrebbe scoppiare da un momento all’altro, magari innestata da un ennesimo ‘referendum’.
Se invece si attraversa il paese reale, che resiste e lavora, allora si ha un’impressione diversa. La vita in comune e gli scambi sono la norma e il risentimento interetnico verso la politica cresce, aggravato dalla palese corruzione.
Quanto reggerà alzare i toni proponendo separazioni, invece di rispondere alle manifestazioni dei contadini che chiedono gasolio per i trattori a prezzi politici?
L’eredità della guerra è la difficoltà a unificare il paese, che rende impossibile entrare in Europa. Un disastro per molti, ma una fortuna per pochi, perché consente potere e arricchimento a chi, dopo aver fatto la guerra, sta facendo anche il dopoguerra. Cosa ha rappresentato per te quella guerra? L’intera ex-Jugoslavia è stata il luogo a cui ho dedicato più tempo ed energia, come professionista e come uomo, dopo l’Italia.

A giugno del 1991 ero in Slovenia e l’11 settembre del 2011 ho visto le torri gemelle cadere dal video del centro stampa di Skopje, in Macedonia. Poi ci sono tornato tutti gli anni, a seguire l’attività di ong e cooperazione italiana e a coltivare le nuove amicizie, un po’ dappertutto.
È stata la speranza fallita di vedere la guerra fermarsi, e ora è la testardaggine di testimoniare la rinascita.
Mi restano le fotografie, le cose scritte, l’amicizia e il ricordo di persone straordinarie. Come le immagini influenzano la percezione della realtà?
Le immagini hanno un’enorme forza, nel pregiudizio che siano più vicine alla ‘verità’ di un testo scritto. Per questo tutti sanno che sono un veicolo determinante per influenzare l’opinione pubblica.
La manipolazione non è un portato delle nuove tecnologie. Costruire un’immagine può innescare una rivolta o giustificare un bombardamento. Vale per una notizia falsa, una foto ritoccata, una campagna di twit, il blog di un personaggio inventato. Purché tutto sia ‘verosimile’. Se l’informazione è anche un mercato la notizia più ‘vera’ è quella che vende di più. Poi ci sarà tempo per le smentite,  in sede storica però, ad affari conclusi.
Aggiungo che l’informazione è fatta da uomini e donne. Non esistono ‘i giornalisti’, ‘i cooperanti’ o gli ‘avvocati’. L’identità di una persona non è definita dal suo lavoro, ma dalle sue scelte. L’obiettività è un mito. Si deve scegliere sempre da che parte stare, l’importante è non nasconderlo mai.