13 dicembre… mai più

Il razzismo è presente nella nostra società e ha radici profonde. Il razzismo si nutre di ingiustizie e ne produce in grandi quantità. Il razzismo può uccidere. È già successo, tante volte, e nessuno può chiamarsene fuori. Parafrasando De Andrè, potremmo dire che per quanto ce ne sentiamo lontani ed estranei, in realtà siamo tutti coinvolti.

Il 13 dicembre del 2011, esattamente un anno fa, Modou Samb e Mor Diop vennero uccisi e altre tre persone, tutte di origine senegalese, furono ferite, una di queste in modo così grave da riportarne una invali­dità permanente.

A sparare fu Gianluca Casseri, un simpatizzante di Casa Pound.

In un periodo, come quello attuale, in cui si è attenuato il ricorso alle offese di stampo razzista, a scelte o dichiarazioni che individuano in persone di origine straniera o appartenenti a minoranze i capri espiatori delle contraddizioni delle comunità locali, quella strage ha dimostrato, qualora ci fosse ancora bisogno di conferme, che i sentimenti di intolleranza e di fastidio alimentati per anni non coincidono neces­saria­­mente con gli interessi della politica e le campagne di stampa.

L’insofferenza e l’astio verso gli stranieri, ingiustificati quanto diffusi, sono diventati uno dei tratti identitari delle nostre comunità.

Un elemento che in certi periodi sembra scomparire, per poi riaffacciarsi all’improvviso.

Per avere una quantità di razzismo diffuso sempre disponibile al mercato della politica è stato fatto un lavoro di lungo periodo. Un impegno non coordinato, che risponde a interessi non sempre coincidenti e che però produce risultati convergenti.

La crisi e i suoi effetti potenziano questo comune sentire negativo e rappresentano l’humus nel quale può esplodere il gesto omicida. Ad un anno di distanza da quella tragedia sarebbe troppo facile dire ‘l’avevamo previsto’, sicuramente ci sentiamo però di affermare con ancora più forza che serve un impegno diffuso e continuo per radicare gli anticorpi che facciano da barriera al razzismo. Da troppi anni assistiamo a scene di ordinaria follia nelle piazze dei grandi centri urbani come sulle spiagge del turismo dei grandi numeri, inseguimenti e retate di ambulanti come se si trattasse di appartenenti a pericolose organizzazioni criminali. Ci sarà bisogno di un lasso di tempo almeno altrettanto lungo perché tutti comincino a parlare la lingua dell’uguaglianza e dell’inclusione sociale. Alle campagne di criminalizzazione e denigrazione, agli sgomberi programmati e continui dei campi rom dovrebbero per esempio corrispondere azioni di riparazione e di coinvolgimento delle comunità rom e sinti, per restituire a queste minoranze l’umanità sottratta nella rappresentazione pubblica dai ripetuti e violenti interventi esplicitamente discriminatori. Al di là delle giuste e doverose parole di condanna del razzismo che sentiremo in questi giorni, dei tanti interventi che si susseguiranno nei convegni e nelle commemorazioni, vorremmo dichiarazioni per impegni concreti a favore dei migranti e delle minoranze, senza la solita ambiguità sottesa allo scambio fra doveri e diritti, che rivela un’idea della democrazia e dell’uguaglianza basata sul ricatto. L’idea, cioè, che chi ‘pretende’ diritti se li deve meritare, con una palese non conformità ai principi dettati dalla nostra Costituzione secondo i quali le persone tutte sono portatrici di diritti senza se e senza ma. Il richiamo ai doveri, o meglio alle responsabilità, può e deve essere fatto senza considerarle moneta di scambio (nel paese dei femminicidi qualcuno ricorderà i discorsi di chi, neanche tanto tempo fa, nelle aule dei tribunali sosteneva che le donne ‘se l’erano cercata’, che si dovevano vestire diversamente e non ‘provocare’). Nei prossimi giorni a Firenze si terranno numerose iniziative in ricordo di quella strage. La reazione che un anno fa portò in piazza, a Firenze e non solo, migliaia di persone contro il razzismo, quest’anno si concentrerà in una riflessione collettiva e articolata su come impedire che quello che è successo accada di nuovo. Ma per evitare che il razzismo si trasformi di nuovo in violenza omicida bisognerà chiedere a tutti coerenza, a partire da noi stessi, dalle organizzazioni sociali. Andrà chiesto alle istituzioni, al mondo della politica, ai giornalisti e al mondo del lavoro. All’antirazzismo delle parole deve seguire quello dei fatti. Senza scelte determinate ed esplicite nessuno potrà schierarsi dalla parte delle vittime, tentando magari di parlare a nome loro. Se Firenze, l’intero Paese, dentro questa difficile crisi, riuscirà a dare una risposta chiara a questa che oggi sembra una questione dimenticata, ne uscirà rafforzata la nostra democrazia.

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