Il terzo settore e la politica

La presenza di esponenti del mondo del terzo settore fra i candidati al Parlamento in misura consistente come mai era accaduto in precedenza è senza dubbio una novità di questa campagna elettorale. Ben sedici organizzazioni vedono i propri presidenti o dirigenti di primo piano fra gli eleggibili in liste diverse che spaziano dal centro alla sinistra. Dopo anni di disattenzione alle istanze della società civile, i partiti hanno aperto significativi spazi di rappresentanza alle organizzazioni sociali.

La novità non è certo sfuggita agli osservatori più attenti, suscitando molti commenti positivi, ma anche qualche lettura maliziosa e talvolta tendenziosa. Come quella per cui questi dirigenti associativi avrebbero scelto solo di cambiare mestiere passando dall’impegno sociale alla politica e palesando così la rinuncia del terzo settore ad esprimere una propria autonoma politicità per rifugiarsi in vecchi collateralismi. Non potrebbe esserci lettura più errata al riguardo di chi ha sempre vissuto la militanza associativa e l’autonomia del sociale non come separatezza dalla politica ma come soggettività politica altra, espressa nell’autorganizzazione e nella partecipazione civica; e non intende cambiare mestiere, bensì pro­seguire quell’impegno, pur in un contesto e in un ruolo diversi, nella convinzione che oggi il terzo settore debba assumersi nuove responsabilità e mettere in gioco le sue energie per contribuire a far uscire il paese dalla crisi.

Il terzo settore può fare molto, per la sua vocazione civica e solidaristica, per la capa­cità di essere motore di partecipazione, tessere legami sociali, leggere i bisogni e costruire risposte concrete, affermare un’altra idea di società che ponga l’economia al servizio del benessere diffuso e valorizzi la libera iniziativa dei cittadini orientata al bene comune. Tanto più in una fase di grave difficoltà, è bene che questo mondo sia rappresentato nelle istituzioni, sostenuto e tutelato attraverso l’attività legislativa.

Molti sono i problemi aperti: riattivare le sedi di concertazione azzerate dall’ultimo governo, rafforzare gli strumenti di sussidiarietà fiscale, fare chiarezza sui criteri per definire la commercialità o meno di alcune attività, garantire il futuro del servizio civile nazionale per i giovani, rivedere e armonizzare l’intero quadro normativo sul non profit. Per questo è bene che nel nuovo parlamento ci sia chi può presidiare questi temi in costante rapporto con le associazioni.

 

Paolo Beni