Di Simona Sinopoli, presidente Arci Roma, e Andrea Masala, responsabile relazioni istituzionali Arci Roma
L’ultima settimana di febbraio a Roma hanno chiuso il circolo Arci Rialto Sant’Ambrogio. Un sequestro preventivo su ordine della procura, l’ennesimo. Il circolo ha una sede assegnata in seguito ad un’occupazione, una sede bellissima nel pieno centro di Roma. Quel centro che le mafie romane, italiane e internazionali si stanno comprando a rate e in cui i romani non vanno più.
Una sede bellissima ma in disuso e lasciata al degrado, come moltissime altre in centro e in periferia, prima che con le loro attività gli animatori del Rialto la restituissero ai cittadini. Qui si è fatta arte, musica, teatro, tutti eventi di alto profilo culturale e di livello internazionale. Uno dei pochi punti di innovazione dentro un panorama culturale istituzionale sempre più conformista. Perché è questo il problema: Roma ha le dimensioni di una metropoli, ma di questa ha solo i disagi. Di sicuro non vi si respira quell’aria di innovazione culturale che fa di Berlino, Amsterdam, Parigi, Londra… delle capitali europee dagli stili di vita e proposte culturali all’altezza della situazione. Gli unici fermenti in sintonia con le innovazioni culturali di queste capitali si possono trovare solo nelle situazioni informali, di micro e auto produzioni. Situazioni in cui si produce anche molto lavoro giovanile e femminile, soprattutto in quei settori in cui, se fosse per le politiche pubbliche, si sarebbe costretti alla ‘fuga dei cervelli’, la nuova emigrazione italiana.
Ma questi posti li stanno chiudendo uno dietro l’altro e li lasciano inutilizzati, spenti, degradati: il Teatro Valle, il Cinema America, il Cinema Volturno, l’Angelo Mai e altri ora in pericolo. Le factory di Roma si sigillano! Produttori clandestini di cultura, contrabbandieri di pensiero e di socialità!
È evidente a tutti il paradosso di una situazione per cui le iniziative culturali e sociali dei cittadini vengono frustrate, anzichè essere incentivate, e chi si occupa di cultura senza sovvenzioni pubbliche non viene elogiato ma denunciato. È evidente la miopia di istituzioni culturali che non si accorgono che su questa frontiera dell’innovazione occorre scommettere: piattaforme culturali in cui domanda e offerta, produzione e consumo si incrociano e si contaminano.
«Sono iniziative autonome delle autorità di sicurezza, il Comune non ne sapeva niente!». Questo ci siamo sentiti ripetere all’infinito nell’ultimo anno. «La nostra legge non ammette l’ignoranza»potremmo ribattere, ma invece ci ostiniamo a discutere, a spronare. Cos’è che fa chiudere questi spazi? A chi giova?
Sono tanti gli interessi, ma a noi pare operante un mix di pigrizia intellettuale, di invidia culturale, di conformismo procedurale e di burocratismo uniti ora a un legalitarismo malinteso che quei burocratismi esaspera. Su questo Roma si strozza, con la creatività sociale e l’innovazione culturale può invece riaccendersi e ripartire. Chi amministra i beni pubblici deve prendere coraggio e combattere al nostro fianco, altrimenti non ha senso nessun ragionamento sui beni comuni. Arci Roma chiede agli amministratori di questa città che ancora credono nel valore pubblico e democratico del loro mandato di prendere posizione e di lavorare con noi all’inversione di questa tendenza per una rigenerazione capitale.
ArciReport, 5 marzo 2015