Quando il diritto del lavoro non tutela più il contraente debole

Di Claudio Treves, segretario generale NLDIl-CGIL.
La legge delega sul lavoro sta producendo i primi decreti attuativi, e si intravede uno scenario profondamente cambiato rispetto al diritto del lavoro conosciuto. Bisogna ricordare, infatti, che il diritto del lavoro sorge per bilanciare una sproporzione di potere tra i due contraenti il contratto di lavoro: a differenza di qualsiasi ‘negozio’ tra privati, dove ciascuno dei contraenti è libero di ‘uscire dal negoziato’ se i termini non lo soddisfano, nel contratto di lavoro c’è un contraente che rischia se ‘esce’ – di restare/diventare disoccupato.
Per questo è un diritto ‘diseguale’, e per questo si fonda – storicamente – sull’inderogabilità della norma e sul favore accordato al lavoratore. Conseguenza di ciò, il rapporto di lavoro deve avere al suo fondamento la stabilità; passaggio ulteriore, la legislazione
deve prevedere precise modalità di svolgimento e garanzie per il momento in cui il rapporto si dovesse risolvere.Qui è il fondamento dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori (non a caso, questo è il nome completo della legge n° 300/70).Ebbene, per gli assunti successivamente all’entrata in vigore delle nuove regole, essere licenziati ingiustamente comporterà invece che la reintegra del posto di lavoro un indennizzo, peraltro non particolarmente elevato. Salvo dimostrare, cosa quanto mai difficile, di essere stati oggetto di discriminazione, oppure che il ‘fatto’ imputato non sussiste. A chi fosse poi incappato in simili vicende, la collettività offre un’indennità
di durata pari alla metà delle settimane su cui il lavoratore avrà versato contributi, che comincia a calare del 3% se lui resta disoccupato per più di tre mesi e continua a calare ogni mese fino ad un massimo possibile di 24 settimane fino al 2016, e 18 dal 2017. Ciliegina sulla
torta, questi periodi varranno per la sua pensione solo fino a 1.800 euro lordi. Ma si dice – non fossilizzatevi sul solo punto dei licenziamenti, facciamo anche pulizia nel mondo precario, abolendo le collaborazioni dal prossimo anno! È proprio così? In realtà è certamente vero che dal 2016 non si potranno più stipulare collaborazioni a progetto, ma resta in vigore la normativa che nel tempo ha costituito la base giuridica per le collaborazioni meno tutelate, ossia l’art. 409 del codice di procedura civile. Quindi è vero che non si potranno più stipulare collaborazioni a progetto, ma non che le collaborazioni siano state cancellate. Quello che la normativa aggiunge
è che alle collaborazioni dal carattere personale, continuativo, ripetitive e di cui il committente abbia determinato modalità temporali e logistiche di svolgimento ‘si applica’ la disciplina del lavoro subordinato. Non, si badi bene, ‘si convertono o sono considerate’ lavoro
subordinato. Cosa questa locuzione piuttosto oscura voglia significare è compito degli interpreti,ma mi sembra un po’diverso dall’affermare la ‘rottamazione’ delle collaborazioni come twittato dal Presidente del Consiglio. Ovviamente la‘trasformazione’ deve essere accompa gnata da una transazione sul pregresso che ‘estingue’ (testuale) le violazioni di natura previdenziale, assicurativo e
fiscale compiute dal committente. Abbiamo quindi un possibile scenario in cui una battaglia storicamente condotta dal sindacato contro i contratti precari con la parola d’ordine «passiamo al lavoro subordinato le collaborazioni improprie» diventi – se non adeguatamente corredata da diritti in ogni suo passaggio – la transizione, a costo praticamente nullo per il committente, da un rapporto precario … ad un altro! Ma non è finita qui: perché «in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali» il datore di lavoro può mutare unilateralmente le mansioni cui il lavoratore era adibito utilizzandolo in mansioni inferiori. Bontà loro, senza ridurgli la retribuzione, cosa che però può avvenire se la richiesta è avanzata presso le sedi preposte alla conciliazione. La somma delle brevissime esemplificazioni svolte fin qui ci mostra come il diritto del lavoro, da strumento di garanzia del contraente debole, rischi di trasformarsi in strumento di salva guardia del contraente forte: a questo punto si deve aprire una pagina che riguardi l’azione e la cultura che deve
maturare il sindacato confederale e l’intera cultura democratica di questo Paese, per ricondurre, all’altezza della sfida e in sintonia con i tempi, il diritto del lavoro a svolgere il compito per il quale, alla fine dell’800, fu pensato.
LA CILD LANCIA UNA PETIZIONE PER CHIEDERE A RENZI DI RIATTIVARE MARE NOSTRUM
Il Mediterraneo ancora una volta ci restituisce corpi di uomini, donne, ragazzi
morti assiderati o annegati. Una tragedia che non può essere attribuita soltanto al cinismo di chi ha costretto queste persone a imbarcarsi, nonostante il freddo invernale e le condizioni avverse del mare.
La CILD – Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili – e le associazioni che ne fanno parte hanno perciò promosso una petizione sulla piattaforma change.org , chiedendo al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di riattivare l’operazione Mare Nostrum e, parallelamente, premere sull’Unione Europea per la condivisione di questa responsabilità che riguarda le frontiere comuni dell’Unione.
Con la petizione si sollecita un intervento in difesa della vita delle persone costrette ad attraversare il Mediterraneo per sfuggire a guerre e persecuzioni con mezzi di fortuna. Dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 il governo italiano aveva lanciato l’operazione Mare Nostrum che, attraverso un’attività di ricer ca e soccorso in mare, ha avuto il grande pregio di mettere in salvo 170mila
persone durante tutto il periodo in cui è stata in vigore. L’iniziativa con cui l’Unione Europea è subentrata tramite Frontex – l’operazione Triton – non ha più svolto questa funzione di ricerca e salvataggio ma di solo controllo delle frontiere, portando al ripetersi di tragedie.
Il link della petizione:
www.change.org/p/matteo-renzi-presidente-del-consiglio-dei-ministr