Di Monica Di Sisto e Alberto Zoratti, Fairwatch, tra i promotori della campagna Stop TTIP Italia.
Una brutta prova di democrazia, quella del Parlamento europeo, che l’8 luglio scorso con una forzatura procedurale operata dal Presidente dell’Europarlamento, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, ha invertito l’ordine e dichiarato decaduti alcuni emendamenti che raccoglievano le preoccupazioni della società civile rispetto al negoziato transatlantico di liberalizzazione di scambi e investimenti tra Usa e Ue. La Risoluzione del Parlamento Ue sul TTIP che ne è uscita fuori dunque, ha salvato la tenuta della maggioranza socialdemocratico-popolare, ma ha fatto saltare, ad esempio, l’emendamento sulla Human Rights Clause, che avrebbe anteposto la tutela vincolante dei diritti umani rispetto alle dinamiche di mercato. Ha appoggiato il fatto che il capitolo negoziale sullo sviluppo sostenibile sia solamente consultivo, senza nessuno strumento impositivo di verifica e controllo. Ha bocciato la previsione di una ‘lista positiva’ per i servizi pubblici, che avrebbe permesso di scrivere nero su bianco i servizi che si vogliono mettere sul mercato, salvaguardando quelli non elencati. Ha bocciato la possibilità di inserire il riferimento a settori sensibili da escludere dal negoziato, come dovrebbe avvenire per alcune produzioni agricole, fortemente a rischio di estinzione. La realpolitik schulziana, che ha prevaricato centinaia di europarlamentari di destra, centro e sinistra, che volevano, invece, entrare nel merito di tutte queste questioni, ha fatto, soprattutto, saltare la possibilità di escludere l’ISDS, l’arbitrato privatodi protezione degli investimenti tanto deprecato dai più, sostituito con una proposta generica su un meccanismo pubblico che risponderà, comunque, all’esigenza di far diventare leggi vincolanti (perché imporranno sanzioni economiche) delle norme di mercato, ritornando alla Lex Mercatoria medioevale. Il risultato discutibile è stato quello di garantire una cornice flessibile e assolutamente non problematica né vincolante alla Commissione europea, che potrà continuare esattamente come prima a negoziare con gli Stati Uniti un accordo a favore di pochi. Dal versante sociale, però, la Campagna Stop TTIP non è mai stata così forte come in queste settimane. Sfondato il tetto dei due milioni e mezzo di firme raccolte in tutta Europa di cittadini preoccupati per il procedere del negoziato, ampiamente superato anche in Italia in pochi mesi l’obiettivo di raccolta delle 56mila firme concordate con le altre piattaforme, la Campagna italiana ha portato all’approvazione di molte altre mozioni di sfiducia al trattato di Autorità locali tra le quali, ad esempio, la Regione Lombardia, la Regione Toscana e il comune di Cagliari. Abbiamo anche partecipato al Dialogo pubblico promosso dal Ministero dello sviluppo proprio sul meccanismo ISDS, correggendo i dati presentati dai numerosi docenti della Bocconi chiamati, in quella sede, a difendere la tesi del Governo che l’ISDS sia necessario per la tenuta degli accordi commerciali, e che, nella maggior parte dei casi, sia a tutto vantaggio degli Stati. Come dimostrato dall’International Institute for Sustainable Development, su 255 cause private promosse negli ultimi 10 anni, il rapporto delle Nazioni Unite 2015 su Commercio e sviluppo ci dice infatti che 144 sentenze sono state deliberate a favore degli stati mentre 111 a favore degli investitori. Il che supporterebbe il team Bocconi. Entrando nel merito per le cause, però, scopriamo che 71 di queste sentenze vinte dagli Stati erano decisioni sulla competenza dell’arbitrato che, nei fatti, terminavano i procedimenti perché gli investitori «ci avevano provato», e non avevano diritto di sollevarle. Solo nel 28% dei casi, a guardar bene, gli Stati sono riusciti a fermare l’Isds contro gli investitori che vi ricorrevano, che sono risultati vincitori nel 72% dei casi e hanno potuto portare avanti il loro ricorso. Tolte queste cause, dunque, sulle 255 decisioni arbitrali totali, sono 184 le cause in cui si è arrivati a discutere il merito, e di queste gli investitori ne hanno vinte 111, cioè il 60%. Quindi le nostre democrazie risultano più che esposte alla potenza degli interessi privati. Per questo, dopo il meeting di strategia europeo che si è tenuto a Bruxelles dal 13 al 15 luglio, la campagna Stop TTIP ha deciso di intensificare la raccolta firme, continuare la pressione sugli europarlamentari perché controllino l’evoluzione dei testi negoziali e quella sui parlamenti nazionali e le autorità locali perché levino la propria voce autorevole e preoccupata per una sempre maggiore trasparenza del negoziato in corso. Dal 10 ottobre in poi, con epicentro Berlino, si lancerà una settimana d’azione in tutta Europa contro il TTIP, che si incrocerà con le mobilitazione contro le politiche di austerità. Due facce della stessa medaglia, che finisce nelle tasche delle stesse élites nazionali e transnazionali.
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