‘Forse è vero che a Cuba non c’è il paradiso…’

Appunti di viaggio all’Havana e dintorni, novembre 2015.

Di Gerardo Bisaccia, Arci Modena.

Questo titolo non è originalissimo, eppure è l’impressione a caldo della prima volta a Cuba, in un’ampia delegazione Arci. Un Paese antico (con le sue auto anni ‘50) eppure post-moderno (con l’alta tecnologia che inevitabile invade), in letargo eppure in sotterraneo fermento esuberante… Si parte dal lavoro concreto dei dirigenti nazionali in questi decenni, intessuto di fitte relazioni con le istituzioni e la c.d. società civile (anche se a Cuba la sua storia è ben diversa dalla nostra): l’accoglienza è ottima non appena si dice Arci. E subito colpisce la dignità delle tante persone che incontriamo, pur nel quotidiano malessere esistenziale. C’è l’orgoglio col quale Fernando Rojas, vice ministro alla cultura, ci mostra il libro-intervista con le foto di Fidel Castro insieme a tanti leader e personalità mondiali negli anni. Ci sono le mille improvvisazioni di tante persone nell’arte dell’arrangiarsi a vivere giorno dopo giorno, a riparare in qualche modo ciò che si rompe, e sorridere nonostante tutto: come la barzelletta sul primo consiglio dei ministri di Fidel, il quale chiede «Chi è economista?», e il Che avendo frainteso «Chi è comunista?» è l’unico ad alzar la mano. C’è il racconto appassionante di Rubiel Garcia, presidente dell’associazione giovanile Hermanos Saiz, il quale visse da bambino gli anni bui del Periodo Especial, decennio di fame e miseria dopo la caduta del muro di Berlino, e suo padre rendeva tutto fantastico, pure l’indigenza, come la favola del carro armato della Vita è bella. Ci sono storie di italiani espatriati a Cuba, come l’architetto Roberto Gottardi autore del teatro dell’Istituto Superiore delle Arti, e l’intellettuale solierese Vando Martinelli dirigente PCI e Arci. Anche i luoghi fanno memoria, costruiscono il presente e rivelano l’avvenire. Abbiamo visitato il mausoleo dedicato a Che Guevara e ai suoi compagni di lotta, tanto maestoso all’esterno quanto raccolto spiritualmente al suo interno, fatto di vegetazione boliviana a respirare il clima del vile delitto. Ci son tanti posti divenuti luoghi di comunità (i cinema, le case di cultura, i centri giovanili) ai quali Arci ha contribuito con le sue energie fatte di tantissimi rivoli di piccoli contributi finanziari, materiali, umani, a partire dalla forza solidale dei circoli fino ai progetti nazionali di Arci e Arcs. Mi rimangono impressi il teatro di Santa Fe, all’Havana il cinema Riviera dedicato a Tom e la palestra di scherma Martiri delle Barbados in memoria di Loris, a Santa Clara una specie di ‘circolo Arci’ (el Mejunje de Silverio): per l’inclusione sociale di bambini, anziani, travesti e la socializzazione delle diversità, non filosofia sulla cittadinanza attiva ma concretizzando quei valori nelle tante attività. Credo sia importante dare continuità al nostro impegno e alla vocazione internazionalista di Arci con Paesi hermanos come Cuba. E ragionare in una visione costruttiva per il futuro: i padri e i figli della rivoluzione han l’esigenza di pensare a dar spazio ai nipoti, senza i traumi da capitalismo selvaggio o gli sconvolgimenti post sovietici, ma con la garanzia dei diritti e di un lavoro degno per tutte e per tutti all’interno di comunità solidali. E noi al loro fianco, in questa direzione. Così, mi è rimasto infine addosso il senso della speranza: «Da qualche parte un giorno, dove non si saprà, dove non l’aspettate, il Che ritornerà».